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Le poesie di eVangelo

Salmo   9


di Giovanni Diodati
Trascritto da eVangelo


Salmo 9

Con tutto'l cor farò famose, e chiare,
di Te, Signor, le lodi:
e in alti, e sacri modi,
celeberò tue meraviglie rare.
In te l'alma prendrà sue gioie care,
con giubilo, e con riso,
salmeggiando, o Sovran, tuo Nome alteto.
Gli sguardi tuoi voltar' in fuga fero
il fier nemico stuol, perir conquiso,
e traboccar' a monte a monte ucciso.
Perchè la nota a te dritta ragione
dagli empi non volesti
che sempre oppressa resti.
Anzi, in man presa mia difensione,
giusto rettor, ne la real magione,
salisti in sedia augusta.
Il tonante sgridar d'agra minaccia,
che vibrò quindi l'accesa tua faccia,
de le genti disfè la turba ingiusta,
d'eterno oblio, e vitupero onusta.
O nemico fellon, di stragi eterne
hai pur le voglie paghe?
Le nostre città vaghe
cader faresti ne le parti inferne,
ne per memoria più traccia sen' scerne?
Ma, nel gran tribunale,
senza posa, ne fin, il Signor siede.
Di giustizia fermò quell'alma sede:
quivi sententia il mondo universale,
dando a tutti mercede a' fatti uguale.
Al tristo poverel darà, pietoso,
qualor sarà distretto,
alto, e sicur ricetto,
d'ogni assalto mortal salvo, e nascoso.
Color, cui del tuo Nome glorioso
palesi i pregi festi,
quindi, Signor, d'haver' in te fidanza,
consolati, prendran lieta baldanza.
Che que' c'han dietro a te gli spirti desti,
lasciati unque non son difetti, e mesti.
Chiara ne voli, in salmi, suoni, e canti
del gran Signor la lode,
che d'habitar si gode
del monte di Sion i giochi santi.
Fra le genti a narrar gli eterni vanti
di sue mirande prove
nissun fedel si rechi lento, o scarso.
Che l'obliato già del sangue sparso
merto egli rende, con vendette nuove
ne'l gridante meschin da se rimuove.
Di me pietà, caro Signor, ti vengna,
ch'al salir da le porte
di tenebrosa morte,
di salute, e favor, m'alzi l'insegna.
De l'empio horrendo stratio ti sovvengna,
che da' nemici sento.
Afin c'habbia da far tue leudi conte,
fra'l popolo fedel nel sacro monte.
E, festante, sonar dolce concento,
liberato per te d'indegno stento.
Le genti traboccar nel fosso istesso,
ch'esse causato havieno.
Venne lor fraude meno,
e ne l'occulto laccio il piè fu messo,
v'credean' irretir' il giusto oppresso.
Quindi si fe palese.
Del gran Signor l'eccelsa gloria immensa,
per la ragion, ch'a lance ugual dispensa.
Ne le frodi, e laccivoi, che scaltro tese,
colto fu l'empio: o memorande imprese!
Andranno in volta, ne la tomba scura,
tutti gli empi, che Dio
profondan ne l'oblio.
Che, messa a non caler la sorte dura,
del povero, o perir sua speme pura,
non fie sempre si vegga.
Sorgi, Signor, che l'huom forze non prenda:
a le genti il fio lor tua faccia renda.
Fa ch'a ciascun nel cor spavento segga,
e che, confuso, esser sol' huom s'avvegga.




Data: 21/03/2003
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